Pierpaolo Ramotto, “3 identità 3 identitäten 3 identities“, Rocca di Umbertide (PG), Foligno, Luglio 2016
“3 identità 3 identitäten 3 identities“
(di Pierpaolo Ramotto)
Un testo per la mostra “3 identità 3 identitäten 3 identities“ di Katrin Grote-Baker (mostra insieme con William Balthazar Rose e Pierluigi Ricci), Rocca di Umbertide (PG), 6 – 8 Agosto 2016
Una miscela, diverse culture, differenti modi di vivere, è la migliore occasione per generare una particolare identità artistica, con la consapevolezza di essere un totale, una somma di diversi pensieri.
Katrin una natura tedesca, razionale, riflessiva e pragmatica, contaminata da una terra dove tutto è possibile basta crederci, l’America.
Aggiungiamo l’amore per il paese delle contraddizioni amato da Goete, la trasmutazione è in atto.
“ Conosci il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d'oro Un vento lieve spira dal cielo azzurro Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro Lo conosci tu? Laggiù, laggiù Vorrei con te, o mio amato, andare! “
Queste tre contaminazioni sono sufficientemente capaci di generare un grande opus e, nel caos primordiale che si genera, prende forma l’arte.
Inutile stupirci quando si scoprono i piccoli grandi vizi, piacevolmente vissuti dai grandi, come loro differenza, le loro debolezze diventano quel pulviscolo che ruota attorno all’opera.
Le opere di Katrin indicano con chiarezza il suo grande desiderio di essere una comunicatrice che ascolta le conoscenze del passato, per poi saggiamente ridistribuirle e usarle nel suo lavoro.
Il frottage, il collage, la calligrafia non sono altro per Katrin che mezzi, veicoli per trasportare in altri mondi le sue turbolenze, mettendo se stessa in una continua turbolenza. Non dimenticando la sua storia, la sua passione e l’amore per la comunicazione.
Il suo modo di operare la rende molto recettiva e divulgativa, lo dimostra la sua produttività. Potremmo scomodare per descrivere il suo lavoro periodi storici, artisti del passato o aforismi, ma il figlio possiede il dna dei genitori con una nuova e personale identità che riscriverà una sua traccia poetica.
Perché contaminare questo testo con altri padri, Tedeschi, Americani o Italiani ?, se un bimbo nasce in Finlandia o in Tailandia è logico pensare, che un finlandese possa nascere con occhi e carnagione chiara e il tailandese con occhi orientali e carnato olivastro, ma la magia è nel caos, dove tutto si amalgama, si modifica per formare una nuova materia.
In questa ricerca di Katrin, credo che tutte queste diverse entità, si stiano ritagliando un loro ruolo . Donna, artista contemporanea, ama ascoltare l’armonia della lingua fiorentina, attraverso la divina commedia, Dante, la contagiosa emozione che ti prende e sei in un nuovo mondo.
...”i son Beatrice che ti faccio andar…( inferno 2°).
La difficile terzina per il tema del poeta, oggi ci fa capire quanto il suo pensiero sia stato grande e globale, attuale e anticipatore, quasi da prevedere il ruolo futuro della donna nella società. Nella storia dell’arte, la donna ha sofferto e ricoperto ruoli secondari e in alcuni casi modificato il proprio nome o il proprio aspetto fisico, per farsi accettare, nonostante è riuscita a essere sempre al centro della scena sociale, mantenendo i giusti valori in entrambi i ruoli di soggetto attivo o di oggetto per rappresentazioni mitologiche, religiose, esoteriche. Le opere dell’artista Katrin vogliono, pretendono d’inserirsi a giusto titolo nella scrittura dell’arte contemporanea, ritagliandosi un ruolo personale, nonostante le consapevoli contaminazioni da cui non ci si può sottrarre ben sapendo che
diventa volontà cosciente quando l’artista sceglie di farsi contagiare nei luoghi della bellezza .
(Pierpaolo Ramotto, Foligno, luglio 2016)
Addison Parks, Art Deal Magazine, Tuesday, June 30, 2015
Artist Notes: Katrin Grote-Baker in Berlin
Artist Notes: Katrin Grote-Baker in Berlin
Susanna Ragionieri, “Segni e colori” (catalogue critique), Firenze, March 2012 (Catalogue: Katrin Grote-Baker, Works)
Segni e Colori
L'idea di una forma che sbocci nello spazio seguendo un principio di necessità interiore analogo a quello di un organismo naturale -poniamo di un fiore- è qualcosa che dal tempo di Klee e di Kandinskij ha significato per tanti artisti l'aprirsi di sconfinati universi di sperimentazione. Da lì è nata anche la consapevolezza di una stessa origine per disegno e scrittura da individuarsi nel segno; consapevolezza che si è arricchita in seguito, a partire dagli anni del secondo dopoguerra, delle implicazioni vitali contenute nella Gestalt, ovvero del coinvolgimento diretto del corpo nella realizzazione dell'opera, dunque dell'annullamento di quel distacco che poteva formarsi fra artista e prodotto finito a favore di una dimensione di work in progress, aperta ad infinite modificazioni e svolgimenti.
Credo che ciascuno di questi elementi sia a suo modo presente nel lavoro di Katrin Grote-Baker, e le direzioni apparentemente diverse lungo le quali esso si muove -la materia e il colore, il segno, la scrittura- non siano altro che la dimostrazione dell'obbedienza da parte dell'artista a un principio di kinesis, inteso come mito dell'origine, vera e propria sorgente.
La stessa energia che modella il colore -talvolta direttamente applicato sulla superficie con la punta delle dita- guida anche il percorso della penna di grafite che si svolge improvviso, tracciando in margine al profumo dei toni, brevi sussulti di segni come annotazioni segrete. È dunque una questione di ritmo, di passo, di respiro; in certi momenti, di danza, in altri, forse, di riposo; comunque di tensione costante ad intonarsi con flussi e forze che superano l'individuo per collegarlo ed inserirlo nel moto dell'universo.
Si osservano ancora le opere di Katrin Grote-Baker, e ci si accorge che questo desiderio di intonazione passa attraverso la lezione di Cy Twombly, e la fa propria con spontanea semplicità; se ne appropria, come spesso fanno gli artisti, per amore e con amore, perché Twombly ha capito come pochi il senso del divenire delle forme e la connessa bellezza della fragilità e della provvisorietà. Suggestioni che sono alla base della serie dei Liebesbriefe di Katrin: dove il discorso si svolge per brani, scandito solo dal libero, quasi aleatorio aggregarsi di segni e colori.
Un altro aspetto del lavoro dell'artista riguarda le tele quasi monocrome, di materia più spessa e chiara, dove l'intervento grafico, deliberatamente minimale, suscita, con il riferimento alla linea dell'orizzonte su cui si alza qualche volume come di città lontana, l'allusione a spazi e tempi dilatati, chiamati a condensarsi davanti ai nostri occhi attraverso poche evocative indicazioni. L'idea della linea come percorso, cammino, e dunque vita, che viene da Klee, si unisce qui all'immaginazione di mondi ignoti e al tema del viaggio, ben presente nella vita di Katrin, sospesa fra la Germania in cui è nata, Gli Stati Uniti, dove ha vissuto con il marito Patrick, e l'Italia -soprattutto l'Umbria e la Toscana- da molto tempo per lei terra d'elezione, luogo non solo fisico, ma mentale e culturale.
Non a caso in Italia è nato il primo seme dei lavori su carta sul tema della scrittura, con la serie dedicata all'avvio della Divina Commedia. All'inizio era stato l'interesse per la calligrafia antica, da incunabolo, a colpirla, prima di ogni possibile riferimento al testo; poi, però era subentrato qualcosa di nuovo. «Mi ero accorta -mi racconta l'artista- che quasi ogni italiano che incontravo sapeva recitare a memoria quei versi ed avevo incominciato a riflettere». È sul senso di questo intreccio fra tradizione e vita di tutti i giorni, intendendo quasi etimologicamente la parola tradizione, che dal latino tradere indica già l'idea di movimento, che l'artista ha costruito dunque le sue serie di penne acquerellate su carta. Dove l'incontro fra modalità calligrafiche, significato e messaggi del testo, infine gestualità di radice informale con le sue intermittenze emozionali, ci consegna un delicato, sensibile work in progress. Nel quale, accanto a Dante, hanno poi trovato posto, direi significativamente, Orazio e Goethe.
Mi viene da pensare che il frutto ulteriore di un simile percorso non poteva essere che il collage; naturalmente non quello algido delle origini, ma il collage intriso di vita che da Schwitters in poi, passando per i Nouveaux Réalistes e Vostell, ha costituito anche il retroterra di Twombly. Con i suoi suoi livelli sovrapposti, gli andamenti obliqui, rovesciati, verticali come pioggia, che volta a volta assumono le parole, il collage diventa quasi una metafora della vita: dove la poesia -attraverso i frammenti delle frasi dei poeti- è gettata nella mischia a cercare le forme sempre mutevoli di una continua morte e rinascita.
Susanna Ragionieri, marzo 2012
Critica d’Arte, Docente all’ Accademia di Belle Arti di Firenze
L'idea di una forma che sbocci nello spazio seguendo un principio di necessità interiore analogo a quello di un organismo naturale -poniamo di un fiore- è qualcosa che dal tempo di Klee e di Kandinskij ha significato per tanti artisti l'aprirsi di sconfinati universi di sperimentazione. Da lì è nata anche la consapevolezza di una stessa origine per disegno e scrittura da individuarsi nel segno; consapevolezza che si è arricchita in seguito, a partire dagli anni del secondo dopoguerra, delle implicazioni vitali contenute nella Gestalt, ovvero del coinvolgimento diretto del corpo nella realizzazione dell'opera, dunque dell'annullamento di quel distacco che poteva formarsi fra artista e prodotto finito a favore di una dimensione di work in progress, aperta ad infinite modificazioni e svolgimenti.
Credo che ciascuno di questi elementi sia a suo modo presente nel lavoro di Katrin Grote-Baker, e le direzioni apparentemente diverse lungo le quali esso si muove -la materia e il colore, il segno, la scrittura- non siano altro che la dimostrazione dell'obbedienza da parte dell'artista a un principio di kinesis, inteso come mito dell'origine, vera e propria sorgente.
La stessa energia che modella il colore -talvolta direttamente applicato sulla superficie con la punta delle dita- guida anche il percorso della penna di grafite che si svolge improvviso, tracciando in margine al profumo dei toni, brevi sussulti di segni come annotazioni segrete. È dunque una questione di ritmo, di passo, di respiro; in certi momenti, di danza, in altri, forse, di riposo; comunque di tensione costante ad intonarsi con flussi e forze che superano l'individuo per collegarlo ed inserirlo nel moto dell'universo.
Si osservano ancora le opere di Katrin Grote-Baker, e ci si accorge che questo desiderio di intonazione passa attraverso la lezione di Cy Twombly, e la fa propria con spontanea semplicità; se ne appropria, come spesso fanno gli artisti, per amore e con amore, perché Twombly ha capito come pochi il senso del divenire delle forme e la connessa bellezza della fragilità e della provvisorietà. Suggestioni che sono alla base della serie dei Liebesbriefe di Katrin: dove il discorso si svolge per brani, scandito solo dal libero, quasi aleatorio aggregarsi di segni e colori.
Un altro aspetto del lavoro dell'artista riguarda le tele quasi monocrome, di materia più spessa e chiara, dove l'intervento grafico, deliberatamente minimale, suscita, con il riferimento alla linea dell'orizzonte su cui si alza qualche volume come di città lontana, l'allusione a spazi e tempi dilatati, chiamati a condensarsi davanti ai nostri occhi attraverso poche evocative indicazioni. L'idea della linea come percorso, cammino, e dunque vita, che viene da Klee, si unisce qui all'immaginazione di mondi ignoti e al tema del viaggio, ben presente nella vita di Katrin, sospesa fra la Germania in cui è nata, Gli Stati Uniti, dove ha vissuto con il marito Patrick, e l'Italia -soprattutto l'Umbria e la Toscana- da molto tempo per lei terra d'elezione, luogo non solo fisico, ma mentale e culturale.
Non a caso in Italia è nato il primo seme dei lavori su carta sul tema della scrittura, con la serie dedicata all'avvio della Divina Commedia. All'inizio era stato l'interesse per la calligrafia antica, da incunabolo, a colpirla, prima di ogni possibile riferimento al testo; poi, però era subentrato qualcosa di nuovo. «Mi ero accorta -mi racconta l'artista- che quasi ogni italiano che incontravo sapeva recitare a memoria quei versi ed avevo incominciato a riflettere». È sul senso di questo intreccio fra tradizione e vita di tutti i giorni, intendendo quasi etimologicamente la parola tradizione, che dal latino tradere indica già l'idea di movimento, che l'artista ha costruito dunque le sue serie di penne acquerellate su carta. Dove l'incontro fra modalità calligrafiche, significato e messaggi del testo, infine gestualità di radice informale con le sue intermittenze emozionali, ci consegna un delicato, sensibile work in progress. Nel quale, accanto a Dante, hanno poi trovato posto, direi significativamente, Orazio e Goethe.
Mi viene da pensare che il frutto ulteriore di un simile percorso non poteva essere che il collage; naturalmente non quello algido delle origini, ma il collage intriso di vita che da Schwitters in poi, passando per i Nouveaux Réalistes e Vostell, ha costituito anche il retroterra di Twombly. Con i suoi suoi livelli sovrapposti, gli andamenti obliqui, rovesciati, verticali come pioggia, che volta a volta assumono le parole, il collage diventa quasi una metafora della vita: dove la poesia -attraverso i frammenti delle frasi dei poeti- è gettata nella mischia a cercare le forme sempre mutevoli di una continua morte e rinascita.
Susanna Ragionieri, marzo 2012
Critica d’Arte, Docente all’ Accademia di Belle Arti di Firenze
Ralf Sziegoleit, “Energie und was dahinter ist,” Hofer Anzeiger, 12 January 2007
GALERIE IM THERESIENSTEIN: KATRIN GROTE-BAKER
Energie und was dahinter ist
von Ralf Sziegoleit
Hof – “Open Door” heisst das Gemälde, das die Besucher im Foyer des Hofer Kunstvereins empfängt: eine freundliche, tatsächlich frisch-fröhliche Einladung fünf Quadratmeter gross aussehend wie eine Symbiose aus Impressionismus und Action –Painting. Von “Farbspielen” spricht Katrin Grote-Baker, die das Bild geschaffen hat. Von “Explosionen” spricht sie auch; im Zusammenklang der Farben explodieren, so sagt sie, Gefühle und Ideen. “Kinesis” (ein griechisches Wort, das Energie und Bewegung bedeutet) heisst die Ausstellung, in der 105 Arbeiten aus verschiedenen Werkgruppen zu sehen sind.
Die Malerin wurde 1968 in Zeven bei Hamburg geboren. Sie studierte Kunstgschichte in Berlin; die meisten Einzelausstellungen, die sie seit dem Jahr 2000 bestritt, fanden in Italien statt (wo sie derzeit lebt), einige auch in den USA (von dort stammt Patrick, ihr Mann). In Florenz hat sie diverse Preise, vor allem fuer ihre Grafik, erhalten. Grafische Arbeiten, kalligrafische, zeigt sie auch in der Galerie im Theresienstein. Es sind Umsetzungen berühmter Texte von Horaz (“carpe diem”) und Dante (die ersten Zeilen des “Inferno”). Schrift, so energisch wie eigenwillig zu Papier gebracht, wird eindrucksvoll zum Bild und zum Farb-Form-Ereignis – nahezu abstrakt.
Auch in ihre Gemälde “schreibt” Grote-Baker hinein, nun allerdings mit dem Graphitstift – absichtsvoll so, dass man gar nicht erst auf die Idee kommt, dies könne lesbar sein. Sie will, wie sie in einem Text zu den “explosiven” Bildern mitteilt, etwas übermitteln, was in Worte nicht zu fassen ist: Das Unbekannte willkommen heissen, ohne zu wissen, wie es heisst. Die Titel jedoch, mit denen sie die Resultate der spontan-vitalen Malprozesse versieht, weisen auf Bekanntes und Banales hin: ”meeting a friend”, “thinking of you”, “sunshine in my soul”. Sichtlich ist Zufall im Spiel - und Beliebigkeit auch.
Eine ihrer früheren Bilderschauen hat Grote-Baker unter dem Motto “from the other Side” präsentiert. Von der anderen Seite: Es gehe ihr vorrangig um das, was “dahinter” ist, und sie sagt, dass sie ihre Kunst auch als ”Lebensforschung” verstehe. Tiefgründig geraten ihre “Traumlandschaften”, in denen sich Blau und Grün, in vielen Schichten aufgetragen, zu einem reich struktutierten, nuancierten Grün vermischen und verdichten.
In solch undefinierter Örtlichkeit pflegt, an einer waagerechten Linie plaziert, ein Objekt (Haus?) aufzutauchen. Den Betrachter bringt es (so ein Bildtitel) “auf den Weg” – jenem, an dem die letzten, die grossen Fragen sich stellen: woher, wohin?.
“Passo e resto,come l’universo” – sich bewegen und ruhen, wie das Universum: noch ein Text, den Grote-Baker grafischer Aufarbeitung unterzieht. Aber auch ganz ohne philosophischen Anspruch äusssert sie sich gern: Bescheiden als “Liebesbriefe” tritt eine Reihe bunter Kleinformate auf, vor denen der “Leser” seiner Fantasie freien Lauf lassen mag.
Zur guten Stimmung bei der Vernissage am Mittwochabend trug Ex-Theater-Hof-Opernsänger James Clark mit elegantem Klavierspiel bei. Neu für den nun im elften Jahr agierenden Kunstverein waren auch das stilvolle Büffet und der am Treppenaufgang – vor der “Open Door” – erhobene Eintrittspreis.
Bis zum 18. Februar; donnerstags bis sonntags jeweils von 15 bis 18 Uhr.
Energie und was dahinter ist
von Ralf Sziegoleit
Hof – “Open Door” heisst das Gemälde, das die Besucher im Foyer des Hofer Kunstvereins empfängt: eine freundliche, tatsächlich frisch-fröhliche Einladung fünf Quadratmeter gross aussehend wie eine Symbiose aus Impressionismus und Action –Painting. Von “Farbspielen” spricht Katrin Grote-Baker, die das Bild geschaffen hat. Von “Explosionen” spricht sie auch; im Zusammenklang der Farben explodieren, so sagt sie, Gefühle und Ideen. “Kinesis” (ein griechisches Wort, das Energie und Bewegung bedeutet) heisst die Ausstellung, in der 105 Arbeiten aus verschiedenen Werkgruppen zu sehen sind.
Die Malerin wurde 1968 in Zeven bei Hamburg geboren. Sie studierte Kunstgschichte in Berlin; die meisten Einzelausstellungen, die sie seit dem Jahr 2000 bestritt, fanden in Italien statt (wo sie derzeit lebt), einige auch in den USA (von dort stammt Patrick, ihr Mann). In Florenz hat sie diverse Preise, vor allem fuer ihre Grafik, erhalten. Grafische Arbeiten, kalligrafische, zeigt sie auch in der Galerie im Theresienstein. Es sind Umsetzungen berühmter Texte von Horaz (“carpe diem”) und Dante (die ersten Zeilen des “Inferno”). Schrift, so energisch wie eigenwillig zu Papier gebracht, wird eindrucksvoll zum Bild und zum Farb-Form-Ereignis – nahezu abstrakt.
Auch in ihre Gemälde “schreibt” Grote-Baker hinein, nun allerdings mit dem Graphitstift – absichtsvoll so, dass man gar nicht erst auf die Idee kommt, dies könne lesbar sein. Sie will, wie sie in einem Text zu den “explosiven” Bildern mitteilt, etwas übermitteln, was in Worte nicht zu fassen ist: Das Unbekannte willkommen heissen, ohne zu wissen, wie es heisst. Die Titel jedoch, mit denen sie die Resultate der spontan-vitalen Malprozesse versieht, weisen auf Bekanntes und Banales hin: ”meeting a friend”, “thinking of you”, “sunshine in my soul”. Sichtlich ist Zufall im Spiel - und Beliebigkeit auch.
Eine ihrer früheren Bilderschauen hat Grote-Baker unter dem Motto “from the other Side” präsentiert. Von der anderen Seite: Es gehe ihr vorrangig um das, was “dahinter” ist, und sie sagt, dass sie ihre Kunst auch als ”Lebensforschung” verstehe. Tiefgründig geraten ihre “Traumlandschaften”, in denen sich Blau und Grün, in vielen Schichten aufgetragen, zu einem reich struktutierten, nuancierten Grün vermischen und verdichten.
In solch undefinierter Örtlichkeit pflegt, an einer waagerechten Linie plaziert, ein Objekt (Haus?) aufzutauchen. Den Betrachter bringt es (so ein Bildtitel) “auf den Weg” – jenem, an dem die letzten, die grossen Fragen sich stellen: woher, wohin?.
“Passo e resto,come l’universo” – sich bewegen und ruhen, wie das Universum: noch ein Text, den Grote-Baker grafischer Aufarbeitung unterzieht. Aber auch ganz ohne philosophischen Anspruch äusssert sie sich gern: Bescheiden als “Liebesbriefe” tritt eine Reihe bunter Kleinformate auf, vor denen der “Leser” seiner Fantasie freien Lauf lassen mag.
Zur guten Stimmung bei der Vernissage am Mittwochabend trug Ex-Theater-Hof-Opernsänger James Clark mit elegantem Klavierspiel bei. Neu für den nun im elften Jahr agierenden Kunstverein waren auch das stilvolle Büffet und der am Treppenaufgang – vor der “Open Door” – erhobene Eintrittspreis.
Bis zum 18. Februar; donnerstags bis sonntags jeweils von 15 bis 18 Uhr.
Addison Parks, “Premiera,” Cambridge (USA), 6 August 2006
Premiera (1-19 June 2006)
by Addison Parks, Bow Street Gallery
Katrin Grote-Baker has a dream and a reality and she paints them both. The small landscape abstractions strangely enough represent the dream in the more representational manner. For starters they are predominantly green! In them we get the figure/ground. The object in the field. The house in the landscape. The home in the country. The peace. The dream.
In the works on paper we get the other extreme. Ironically they are reality; they just don’t look like it. They are the direct emotional and even intellectual response and reaction to what happens to her. They are journal. They are letters home. They are tears and laughter and rage. Ranting. Graffiti. Desperation and redemption made whole. And they take form in paint and pencil, the rawest of color and mark, put down with fingers, and scribbling, straight from the horse’s mouth.
The large canvasses are somewhere in between. They might even be some sort of compromise. The raw emotions of the paper made picture, made composition, made contemplation. These paintings, all of this work, would seem to be kindred to a Cy Twombly, the great scribbler, but that would be a rushed observation. Their true spirit father is Monet. The color and light. It is the constant from one extreme to the other. The light moves and moves us through these paintings. And the color is what talks to us, what lifts us, what carries the paintings. It makes their pleasure, and ours.
by Addison Parks, Bow Street Gallery
Katrin Grote-Baker has a dream and a reality and she paints them both. The small landscape abstractions strangely enough represent the dream in the more representational manner. For starters they are predominantly green! In them we get the figure/ground. The object in the field. The house in the landscape. The home in the country. The peace. The dream.
In the works on paper we get the other extreme. Ironically they are reality; they just don’t look like it. They are the direct emotional and even intellectual response and reaction to what happens to her. They are journal. They are letters home. They are tears and laughter and rage. Ranting. Graffiti. Desperation and redemption made whole. And they take form in paint and pencil, the rawest of color and mark, put down with fingers, and scribbling, straight from the horse’s mouth.
The large canvasses are somewhere in between. They might even be some sort of compromise. The raw emotions of the paper made picture, made composition, made contemplation. These paintings, all of this work, would seem to be kindred to a Cy Twombly, the great scribbler, but that would be a rushed observation. Their true spirit father is Monet. The color and light. It is the constant from one extreme to the other. The light moves and moves us through these paintings. And the color is what talks to us, what lifts us, what carries the paintings. It makes their pleasure, and ours.